Piante forestali da frutto

Carrubo – Ceratonia siliqua L.

4.1 Carrubo – Ceratonia siliqua L.
Generalità
Il Carrubo e’ una pianta originaria del bacino meridionale del Mediterraneo appartenente ala Famiglia dell: Caesalpiniaceae. Diffuso nell’Italia meridionale, specie in Sicilia e Sardegna. Gli esemplari piu’ a nord si trovano sul promontorio dell’Argentario (Toscana).
Albero robusto, alto 7-10 m, dal portamento espanso tabulare.
Tronco piu’ o meno difforme, con corteccia liscia, bruno-rossa. Foglie alterne, persistenti, composte da 2-5 paia di segmenti ovali, rotonde o smarginate all’apice. I fiori, in prevalenza unisessuali, tendono a ripartirsi su piante separate in base al sesso, determinando nella specie un comportamento essenzialmente dioico. Molto piccoli e di colore verde-rossastro (privi di corolla, calice con 5 sepali presto caduchi), sono riuniti in grappoli cilindrici eretti, quelli maschili con 5 stami, quelli femminili con uno stimma sessile.
Il frutto (carruba) e’ una camara allungata e appiattita, di circa 2×10-15 cm, nerastra a maturita’, con epicarpo crostoso, mesocarpo carnoso, dolce e una fila di piccoli semi lenticolari, bruni, di consistenza lapidea.
La crescita del carrubo e’ lenta, la sua longevita’ molto alta, fino a 500 anni. Caratterizza l’aspetto piu’ caldo della macchia mediterranea, dove si accompagna a olivastro, palma nana, filirea maggiore, lentisco, mirto e altre specie arbustive ed erbacee.
Le foglie sono lunghe dai 10 ai 20 cm, brevemente picciolate, paripennate e composte da 2-5 paia di foglioline coriacee con margine intero; di forma ellittica o obovata, sono di colore verde scuro sulla pagina superiore e verde più chiaro su quella inferiore
Il frutto (“carruba”) appartiene a una particolare tipologia di legumi definiti lomenti; lungo dai 10 ai 15 cm e largo circa 2, è di forma appiattita e di colore bruno. A maturità si suddivide in vari segmenti chiamati “logge”, che racchiudono al loro interno un seme ciascuno di colore brunastro, appiattito e di difficile germinazione.
La polpa dolce di questo frutto, noto sin dalla piu’ remota antichita’, e’ abbastanza nutriente per cui certi popoli ne fecero, un tempo, una parte importante del loro vitto.
La polpa fresca e’ assai gradevole e ha un’azione leggermente lassativa; secca, al contrario, e’ astringente. Dalla fermentazione si puo’ ricavare alcol, mentre i semi forniscono appretti e gomme d’impiego industriale. Inoltre on le carrube si preparano mangimi per gli animali; dalla scorza e dalle foglie si possono estrarre tannini. Da ultimo non va trascurato il valore ornamentale della pianta, molto indicata nell’abbellimento dei paesi costieri.

Le carrube sono usate in alimentazione, sia umana che (soprattutto) animale.
Dai semi si produce una farina usata come additivo (addensante o gelificante, noto anche come E410, farina di semi di carrube): ha notevole capacità di assorbire acqua (oltre 50 volte il suo peso).
La polpa cruda delle carrube ha un sapore dolciastro, pastoso e zuccherina, e la farina di polpa si usa per sostituire il cacao (nella produzione di dolci e gelati) in quanto è priva di sostanze eccitanti come la caffeina e la teobromina ed è consigliabile in caso di allergia o ipersensibilità a tali sostanze.  Interessante è anche la produzione di miele e l’uso di estratti per la cura della raucedine.
I semi del carrubo vengono anche chiamati carati: dal nome greco delle carrube (kerátion) deriva il “carato” (unità di misura per la massa di materiali preziosi); questo uso storico dei semi di carrubo è legato alla loro sorprendente uniformità in peso: ognuno pesa esattamente 1/5 di grammo e sin dall’antichità li ha resi i contrappesi ideali per le bilance utilizzate per pesare l’oro e oggetti di valore.
Le carrube sono anche note come pane di S.Giovanni o fagioli di locusta.

Corbezzolo – Arbutus unedo L.

Generalità
Il Corbezzolo (Arbutus unedo L.) e’ originario del bacino del Mediterraneo e costa atlantica fino all’Irlanda. Appartiene alla Famiglia delle Ericaceae. Si dimostra una delle specie mediterranee meglio adatte agli incendi. Infatti sui terreni acidi l’incendio ripetuto favorisce il corbezzolo, capace di emettere rapidamente da terra nuovi turioni dopo il passaggio del fuoco, imponendosi sulle altre specie. Alberello sempreverde alto 5-6 m (a volte fino a 10 m), con portamento spesso arbustivo.
Il tronco presenta una scorza sottile, finemente e regolarmente desquamata in lunghe e strette placche verticali di colore bruno-rossastro.
Le foglie persistenti, alterne, coriacee, con breve picciolo, hanno una lamina obovato-ellittica. I fiori sono posti in racemi ramificati di colore bianco crema o rosato, provvisti di corolla lanceolata con 5 denti brevi; il calice ha denti triangolari. Fiorisce da ottobre a dicembre e fruttifica nell’autunno seguente. Il frutto e’ una bacca globosa di 1-2 cm, rosso scura a maturita’, edule, con superficie ricoperta di granulazioni; polpa carnosa con molti semi.
Varietà e portinnesti
Probabilmente sarebbe possibile selezionare qualita’ con frutti piu’ saporiti, come e’ stato fatto per il colore dei fiori; ne esiste infatti una varieta’ rubbia decisamente con fiori rosei ed anche frutti piu’ colorati.
Tecnica colturale
E’ una pianta che si riproduce facilmente sia per seme che per talea. La riproduzione per seme va effettuata verso la fine dell’inverno in un miscuglio di sabbia e torba. Il terriccio va mantenuto sempre umido e i contenitori vanno collocati in luoghi riparati e luminosi.
La moltiplicazione per talea va fatta in inverno. Le nuove piantine di corbezzoli vanno trapiantate in piena terra dopo circa due anni.
Produzioni
Raro l’utilizzo allo stato fresco.
La trasformazione prevede: marmellate, gelatine, sciroppi, succhi, creme, salse e canditi.
Se fermentati danno il vino di corbezzole e distillati con proprietà digestive.
Dai frutti, foglie e fiori si estraggono principi attivi con proprietà astringenti, antisettiche, antinfiammatorie, antireumatiche.
La corteccia contiene tannini utilizzati industrialmente, per la produzione di coloranti e per la concia delle pelli.
Data la rapidità di accrescimento, trova impiego nei rimboschimenti per scopi ambientali, protettivi e antierosivi. Viene utilizzato nel settore florovivaistico per scopo ornamentale. Poiche’ i fiori appaiono in autunno-inizio inverno, allorche’ i frutti dell’anno precedente sono maturi, il valore ornamentale della pianta e’ molto incrementato da tale particolarita’.

Ficodindia o Fico d’India – Opuntia ficus-indica L.

Generalità
Il Ficodindia (Opuntia ficus-indica L.) appartiene alla Famiglia delle Cactaceae.
Il genere Opuntia è composto da circa 200 specie.
Il Fico d’India è originario dell’America ed e’ stato introdotto in Europa dopo la scoperta del Nuovo Continente.
Grazie alla sua elevata adattabilita’, si e’ diffusa, oltre all’America centrale e meridionale, in Sud-Africa e nel Mediterraneo (in Sicilia e’ oggetto di coltura specializzata).
Ha un fusto costituito da cladodi (pale) succulenti in grado di compiere la fotosintesi clorofilliana, da piccole foglie caduche e da numerose spine, molto piccole, disposte intorno alle gemme.
I fiori gialli, a coppa, compaiono in primavera-estate. Il frutto è una bacca uniloculare, carnosa e polispermica.
Un’elevata variabilità nella forma, dimensioni, colore dei frutti e caratteristiche qualitative è riscontrabile non solo tra le diverse specie e biotipi, ma anche nel loro interno.
I semi sono numerosi (da circa 100 a oltre 400 per frutto), di forma discoidale e di diametro pari a circa 3-4 mm. Sono frequenti anomalie dei frutti.
E’ una tipica pianta aridoresistente, richiede temperature superiori a 0 °C, terreni leggeri, senza ristagni idrici, a reazione neutra o subalcalina. Qualora la produzione principale sia basata sui “bastardoni”, richiede che in ottobre-novembre si verifichi un andamento climatico che permetta la maturazione di tali frutti.
Tecnica colturale
La propagazione si può attuare per seme o per via vegetativa.
Negli impianti specializzati le piante, ottenute per talea partendo da cladodi di due anni con 2-3 cladodi di un anno, possono essere messe a dimora sia con sesti dinamici di m 2-3 x 4-5, e diradate poi sulla fila al 5°-&° anno, oppure con sesti definitivi di m 5-7 x 4-5.
Le piante vengono allevate con forme di allevamento assimilabili al vaso o al cespuglio. La potatura di produzione, da eseguirsi in primavera o a fine estate, deve impedire il contatto tra i cladodi, oltre ad eliminare quelli malformati e lesionati. Un’operazione tipica e’ la “scozzolatura”, cioe’ l’eliminazione dei giovani cladodi e dei fiori emessi dalla pianta in primavera a seguito della ripresa vegetativa, da eseguirsi in maggio-giugno al fine di favorire i fiori che origineranno i “bastardoni”. Richiede qualche lavorazione molto superficiale per eliminare le erbe infestanti, un’adeguata concimazione fosfo-potassica e, se possibile, organica. Per la produzione dei frutti agostani non e’ necessaria l’irrigazione; necessita di acqua nella produzione dei “bastardoni”.
Produzioni
I frutti vengono raccolti a piu’ riprese. In coltura irrigua si possono ottenere produzioni di 250-300 quintali ad ettaro. Dopo la raccolta, i frutti possono essere frigoconservati a 6 °C per 2-3 mesi. Un impianto specializzato ha una durata di circa 30-35 anni.
I frutti sono consumati freschi, ma vengono anche usati per produrre marmellate, bevande, sciroppi, farina ed oli di semi. I cladodi sono trasformati o consumati come vegetali, in Messico. Spesso il ficodindia è usato per scopi ornamentali, come mangime per bestiame, nella produzione di cosmetici e in alcuni settori industriali e farmaceutici

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